La genitorialità in ambito sportivo

Per necessità e desiderio di confrontarci nasce un luogo nuovo, non fisico.

SPO è potente oltre il suo essere tangibile, oltre i campi da gioco, le tribune, gli spogliatoi e le segreterie. SPO è potente nei luoghi e nei momenti di condivisione.

 

Lo scorso anno abbiamo organizzato un momento d’incontro, dopo ed oltre aver allestito una sala dedicata ad ospitare il tempo libero dei genitori, con il pretesto di parlare di genitorialità in ambito sportivo.

Abbiamo vissuto un’esperienza con delle famiglie che ci hanno aiutato a sintetizzare alcuni dei luoghi comuni indicati dai nostri tecnici e dai dirigenti come i più diffusi. Soprattutto volevamo incontrarci per capirci meglio. Il tutto è confluito nella produzione di una docu-fiction in collaborazione con il Nuovo Teatro San Paolo, pubblicata dopo essere stata proiettata nel nostro teatro, sulla nostra pagina Youtube (https://www.youtube.com/channel/UClHSkCdGkAhE_cfdX4h7lfg) con il titolo “La genitorialità in ambito sportivo”.

 

In Italia si stima pratichino sport circa 20 milioni di persone, di questi circa 5 milioni sono genitori.

Spesso, come scrive U. Galimberti, i genitori sono attenti alla prestazione del proprio figlio, a scuola come nello sport. Se viene promosso o no diventa centrale, esponendoci ad un rischio consistente, quello di trasformarci da genitori in sindacalisti dei nostri ragazzi.

Troviamo difficoltà a riconoscere come l’apertura dell’apparato emotivo sia il chiavistello che apre l’interesse della nostra mente.

Il tutto è aggravato da una dinamica sociale che porta da anni al discredito di alcune figure di riferimento, a scuola come nello sport, cresce da tempo il desiderio protettivo di contrapposizione, così come la tendenza a screditare l’altro per il desiderio o la necessità di vedere rinforzate le proprie convinzioni.

 

Altri due dati vanno a mio avviso necessariamente aggiunti a questo quadro: il primo è che misuriamo la riuscita di una proposta dal supposto successo che nostro figlio/a riscuote (supposto poiché è la definizione stessa di successo che andrebbe indagata; è da ritenere soddisfacente la partecipazione entusiasta e gratificante o si necessita anche di un riscontro tecnico? Entro quali limiti o con quali eccezioni?) dimenticando che si può parlare di fallimento quando non si raggiunge un obiettivo alla nostra portata. Si stima che nello sport riesca a giocare in serie A nella disciplina praticata lo 0,006% dei praticanti.

Il secondo elemento è di tipo semantico (posto in evidenza in un recente documento prodotto sul tema da SKY Sport Italia) e risulta assolutamente crudo nella sua semplicità: l’allenatore, allena, il giocatore, gioca, l’arbitro, arbitra ed il genitore?

 

Rimane di fatto il livello alto di identificazione che da genitori proviamo nei confronti dei figli. Quando vediamo i nostri ragazzi in difficoltà, o non riconosciuti, sentiamo indispensabile difenderli. È qualcosa di primordiale che emerge con forza incontrastabile.

Aldilà della conclamata ricerca di rivincita, utile a tentare di superare la propria frustrazione attraverso il desiderio di riscatto che proiettiamo sui figli, rimane l’oggettiva difficoltà a condurre i ragazzi fuori dalla “confort zone”, perché attraverso gli ostacoli acquisiscano la capacità individuale di valutare, misurarsi e migliorare, per essere in futuro autonomi ed indipendenti.

 

Il tutto è aggravato da una crisi della conoscenza tipico della nostra epoca, in cui, di fatto, l’ignoranza è diventata un punto di vista.

 

Un esempio sportivo consumatissimo lo si trova nella relazione vissuta da molti con gli arbitri. Si trascura la rilevanza che ha sul piano sociale che i ragazzi crescano nel rispetto dei ruoli e delle autorità, perpetuando contestazioni continue che hanno come spunto la turbativa che produce l’errore arbitrale sul regolare sviluppo della gara, ignorando un dato di fatto comune a tutte le discipline: l’arbitro ha come vetta massima prestazionale, sbagliare il meno possibile.

 

Così come spesso si dimentica che chi ha fatto sport ad alto livello non sempre è in grado di trasmettere la propria esperienza in maniera educativa, per il semplice fatto che non è assolutamente scontato che l’esperienza di alto livello sia di per se educativa e formativa per un giovane. Dipende dalla qualità e dalla sintesi che l’atleta in questione ha avuto la capacità di produrre della propria esperienza personale, cui si deve sommare la capacità, per nulla scontata, di saperla trasmettere nei tempi e nei modi giusti.

 

L’unica cosa certa che mi pare è che non si possa perdere l’intensità del rapporto genitoriale. Bisogna avere la capacità di incanalare tale potenza nella giusta direzione, trovare chi ci possa aiutare e consigliare in questo processo ed avere la fiducia utile ad ascoltare anche ciò che ci può far entrare in difficoltà. Bisogna appoggiarsi sulla società civile ed avere cura affinché tale società sia la più ospitale ed accogliente possibile.

 

Anche per questo apriamo uno spazio in cui si potrà collaborare a portare all’attenzione di chi si rivelerà interessato: esperienze, competenze, ricerche, studi, analisi. Contributi che non avranno l’intento di dispensare verità, ma bensì l’ambizione di nutrire una voglia, ma prima ancora un’esigenza, di miglioramento.

 

Non consentiremo che lo spazio si concretizzi in un’arena né in un luogo in cui rinfacciarsi presenze o assenze, preconcetti o problematiche che ipoteticamente potrebbero realizzarsi. Saremo per questi unici amministratori di questo tentativo di confronto e di contributo comune alla nostra crescita. Ben venuti a tutti e buon inizio di un nuovo viaggio, sentitevi liberi di aiutarci.